Le medie imprese crescono e sono ottimiste per il futuro

Mediobanca e Unioncamere pubblicano la quattordicesima edizione dell’indagine annuale sulle medie imprese italiane nel periodo 2004-2013

Crescono a ritmo accelerato rispetto alla manifattura, attirano sempre più investitori esteri ma la loro tassazione resta punitiva: questi alcuni degli elementi che emergono dall’Indagine annuale sulle Medie imprese industriali italiane, realizzata da Mediobanca e Unioncamere.
Indagine che fa luce sulla ripresa e sulla competitività di 3212 medie imprese manifatturiere italiane che assicurano il 16% circa del valore aggiunto dell’industria manifatturiera ed il 17% delle esportazioni nazionali.
Veneto record per densità di medie imprese – Il Veneto si distingue per la maggiore densità di medie imprese, seguito da Lombardia ed Emilia-Romagna. Il Piemonte figura in posizione relativamente arretrata preceduto, nell’ordine, dal Trentino-Alto Adige, dalle Marche, dal Friuli Venezia Giulia e dall’Umbria. A parte la Lombardia, sono quindi le regioni del Nord Est e del Centro NEC di Fuà a rappresentare le aree con maggiore concentrazione di medie imprese. Il 40% delle medie imprese ha sede in distretti e in altri Sistemi produttivi locali.
L’attività prevalente delle medie imprese riguarda i settori tipici del made in Italy che nel 2013 rappresentano il 62,5% del valore aggiunto e il 66,9% delle esportazioni. Il settore più rilevante è la meccanica che ha assorbito il 39,2% del valore aggiunto e il 42,3% delle esportazioni.
Nel periodo post-crisi si guarda all’estero – Le medie imprese hanno chiuso il decennio 2004-2013 con una crescita del fatturato pari al 35,3%, più del doppio rispetto alla manifattura. A seguito della grave flessione del 2009, nel periodo 2009-2013 le medie imprese hanno messo a segno una crescita del 20,7%, ancora all’incirca doppia rispetto a quella della manifattura (+12,2%). Risultati possibili grazie anche alla forte espansione delle vendite all’estero dove le medie imprese hanno realizzato nel decennio una progressione del 64,4% contro il 44% della manifattura.
Cresce anche la base occupazionale e quindi del benessere: +9,2% dal 2004, quando la manifattura ha dovuto invece ridurre gli organici del 5,5%. Non solo: il costo medio del lavoro delle medie imprese è cresciuto del 26,4%, meglio di quanto ha saputo garantire la manifattura (+23,9%); tale variazione esprime le migliori competenze dei lavoratori.
Sempre più faticoso far fronte ai debiti – Il roe delle medie imprese ha segnato nel quadriennio 2010-2013 un livello medio del 6,7%, circa il 56% al di sopra della manifattura (4,3%). Tuttavia i valori pre-crisi restano lontani (il roe era del 9,7%, superiore del 45%).
La crisi ha generato una selezione severa: le imprese più ‘meritevoli’ (investment grade) hanno registrato una riduzione della propria rischiosità e un miglioramento del proprio merito di credito nell’ordine del 15%. Per esse le difficoltà del contesto hanno rappresentato un’opportunità. Per contro, le medie imprese che sono entrate nella crisi già in relativo affanno hanno subìto un forte aumento della propria rischiosità, oltre il 70%. Per effetto di questi andamenti, la solvibilità delle medie imprese è caduta in 10 anni di oltre il 15%, un aspetto che può complicare il rapporto con il mondo bancario.
La struttura finanziaria tuttavia resta complessivamente solida. I mezzi propri tangibili sono superiori all’attivo immobilizzato (109,6% il rapporto), le attività correnti nette garantiscono un’ampia copertura del debito finanziario a breve (151,4%), il margine operativo lordo è ampiamente sufficiente a ripagare gli oneri del debito finanziario (multiplo pari a 6,5 volte).
Le medie imprese oggi fanno meno affidamento al sistema bancario – Tra il 2005 e il 2011 le banche hanno garantito alle medie imprese un afflusso di mezzi finanziari netti pari a 7,3 mld., ma nel biennio 2012-2013 è avvenuta una riduzione pari a circa un miliardo. La raccolta obbligazionaria non è decollata, rimanendo di fatto invariata in 10 anni. Così, a fine 2013, le medie imprese si sono trovate a dipendere dalle banche per l’89,4% della propria provvista e le obbligazioni sono cadute dal già modesto 5,1% del 2004 al 3,7% del 2013. Molto diverso il comportamento delle imprese italiane, per le quali la disintermediazione bancaria è già avvenuta nei fatti: esse soddisfano nel 2013 il 27,5% del proprio fabbisogno con la raccolta obbligazionaria (era il 18,3% nel 2004), un peso equivalente a quello del sistema bancario che cade al 30,9% del 2013 dal 40,4% del 2004.
Il debutto a Piazza Affari resta lontano – La Borsa resta un’opzione secondaria per le medie imprese. Ad oggi ne sono quotate 15 su un listino di 298 società, il 5% del totale. Dal 1998 al 2013 ci sono in media 0,8 quotazioni all’anno, contro le 11,8 matricole che mediamente ogni anno sono entrate in Piazza Affari. Anche negli anni di boom della Borsa (25 quotazioni nel 1998, 37 nel 1999, 50 nel 2000) non sono mai entrate più di due medie imprese all’anno. Poche le esperienze di successo dal punto di vista delle quotazioni: Valsoia è la top performer (ha fatto 5,7 volte meglio dell’indice MidCap), B&C Speakers 2,3 volte, mentre Enervit ha battuto l’indice del 10%. Tutte le altre società non hanno conseguito risultati altrettanto positivi. Su base annua, un investimento di 1 euro nelle medie imprese quotate avrebbe generato una perdita del 6%, quello nell’indice MidCap un guadagno del 7%. La performance di Borsa è coerente con gli andamenti delle medie imprese quotate che dal 2010 hanno sottoperformato per redditività e solidità finanziaria rispetto all’insieme di tutte le medie imprese. Bene invece le 51 medie imprese “candidate” alla quotazione nell’ambito del progetto Elite: i loro fondamentali di bilancio sono migliori rispetto all’insieme di tutte le medie imprese.
Tassazione punitiva, ma buone prospettive per la manovra fiscale – La tassazione delle medie imprese continua ad essere punitiva: il tax rate medio nel 2013 è stato del 38,1%, con alcune imprese che sfiorano l’80%. Senza l’Irap il tax rate sarebbe di 11 punti più basso, pari al 26,4%, in linea con quello delle medie imprese europee.
La Legge di Stabilità per il 2015 ha disposto la deducibilità integrale del costo del lavoro dall’imponibile Irap. Il costo del lavoro pesa nelle medie imprese per circa il 66% del valore aggiunto. Si stima che la riforma fiscale possa abbattere il tax rate del 13%, portandolo dal 38,1% al 33%, pur lasciando picchi di tassazione attorno al 60%. Si tratta di un calo di circa 0,46 miliardi di minori imposte su base annua per le medie imprese, ovvero 1,4 miliardi nel triennio 2015-2017, sugli 11 miliardi circa di minori imposte previsti dal Governo per tutte le imprese italiane. Il risparmio fiscale vale circa 11.450 posti di lavoro in più (+2%), oppure maggiori investimenti annui per circa il 7% oppure maggiori utili per circa il 18% annuo che, se trattenuti in azienda, porterebbero ad un rafforzamento patrimoniale di circa il 9%.
Agli investitori stranieri piacciono le medie imprese italiane – Tra il 2005 e il 2013 sono state 126 le medie imprese italiane che sono passate sotto il controllo straniero. Sono state invece 40 quelle acquisite ad opera di medi imprenditori italiani da precedente proprietà straniera. Quindi, per ogni impresa che ha conquistato il tricolore tre lo hanno perso.
Le imprese meccaniche risultano le più attrattive per gli stranieri: sono meccaniche infatti il 51,6% delle imprese passate a controllo straniero. Il 15% sono chimico-farmaceutiche, l’11,9% alimentari: non a caso tre settori con i migliori risultati nel decennio.
Tuttavia dopo la crisi l’interesse degli investitori stranieri ha privilegiato le società alimentari (passate dal 9% al 17% del totale) a discapito delle chimico-farmaceutiche (dal 19% al 9%). Resta invece immutato e consistente l’interesse per la meccanica stabilmente sopra il 50%. Le aree geografiche prese di mira dagli investitori stranieri sono il Nord Ovest (49,2%) e il Nord Est (40,5%), poco l’interesse per il Centro e il Sud (10,3%). Il 53,2% degli acquirenti stranieri appartiene alla UE e il 23% agli USA, il Paese più interessato alle medie imprese con passaporto italiano; seguono la Francia e la Germania (9,5% per entrambe), la Svizzera (8,7%) e il Regno Unito con i Paesi Bassi (7,9% ciascuno). Tra gli emergenti primeggia l’India con il 4,8%, mentre i Paesi in via di sviluppo non hanno ancora manifestato interesse (solo l’8,7%).
Imprenditori ottimisti per il 2015 – Il miglioramento del clima congiunturale internazionale favorisce oggi la diffusione di sempre più evidenti segnali di ripresa per le medie imprese industriali, vera punta di diamante del made in Italy all’estero. Il 2014 si è chiuso, per la prima volta dal 2008, con una fascia di società dal fatturato in crescita che supera nettamente la quota di quelle ancora in difficoltà (45,2% contro 27%); in risalita anche la produzione, dove la differenza fra i due gruppi di imprese con andamento opposto raggiunge i 22,8 punti percentuali. All’insegna dell’ottimismo anche le previsioni per il 2015, con il 46,3% delle società che prevede un aumento del fatturato e il 42,6% un incremento della produzione.
La propensione all’export si conferma decisamente elevata, tanto che la quota di aziende esportatrici ha sfiorato il 92% nel 2014. Per l’anno in corso, si conferma l’apporto determinante che le vendite all’estero potranno fornire ai risultati aziendali (gli ordinativi esteri saranno in crescita per il 47% delle imprese, rispetto a un 10% che li attende in calo). A differenza del recente passato, segnali di recupero vengono anche dal mercato interno: per un terzo delle medie imprese gli ordinativi interni saranno in rialzo nel 2015.
Un possibile “effetto Expo” legato alla maggiore visibilità delle tipicità agroalimentari italiane nel mondo è individuabile dagli andamenti settoriali: le medie imprese dell’industria alimentare segnalano, infatti, prospettive di crescita sui mercati internazionali decisamente migliori rispetto al totale (oltre il 60% prevede ordinativi esteri in aumento nel 2015, rispetto ad appena un 3% che li attende in riduzione).
Nel 2014, gli investimenti delle medie imprese si sono concentrati sulle apparecchiature informatiche (79%), sui macchinari (76%) e sui software e servizi informatici (75%); su tali asset le imprese continueranno a puntare prioritariamente anche durante il 2015. Inoltre, nel 2015 per quasi il 37% delle medie imprese l’impegno finanziario per gli investimenti sarà superiore a quello sostenuto nel 2014.
La domanda di credito per i mesi centrali del 2015 si rivela sostenuta: il 45% delle medie imprese ha dichiarato di voler richiedere risorse a credito. A differenza del passato, però, l’esigenza di gestire le attività ordinarie e quella di far fronte a ritardi nei pagamenti dei clienti copre circa un quarto della domanda di finanziamenti. Prevalenti sono quindi gli obiettivi che mirano sia a implementare investimenti già avviati (16%) sia a realizzarne di nuovi (59%). La percezione di difficoltà nell’accesso al credito è contenuta: il 14% di quanti hanno intenzione di ricorrervi nel 2015 si attende di riscontrare maggiori difficoltà di erogazione rispetto al 2014.
Si conferma, infine, un saldo radicamento sul territorio: il 63% non ha mai considerato di spostare le proprie produzioni all’estero e un ulteriore 16% ha ormai disinvestito, ritenendo il “100% made in Italy” un fattore di forte  vantaggio competitivo sui mercati (nel 23% dei casi). I soggetti con cui le medie imprese collaborano per implementare cambiamenti e trasformazioni nei prodotti di punta – soprattutto nell’applicazione di tecnologie green nei processi produttivi – sono collocati dentro i confini regionali per l’88% delle società.

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